Complessità e mappe mentali ai tempi del coronavirus

In questi tempi di quarantena ‘tecnologica’, mi sono chiesta se avesse senso e significato condividere con delle semplici riflessioni scritte qualcosa che provasse a descrivere ciò che la gente compresa me,stesse provando,pensando e affrontando in questo periodo.

Mi sono chiesta se il mio pensiero potesse essere utile in questa marea di informazioni senza risultare ridondante e quindi superfluo oppure potesse rappresentare una integrazione in termini di conoscenza degli eventi,proposta da chi da anni è responsabile del benessere di molte persone e ricopre un ruolo specifico nella comunità.

Mi sono chiesta se potesse essere utile ‘fare il punto’ in un momento storico in cui fare il punto in modo più o meno consapevole, è un passaggio che a mio avviso, interessa ed interesserà tutti.

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Fare la psicologa ed anche la psicoterapeuta come nel mio caso, è al di là di qualsiasi posizione retorica, un privilegio e rappresenta l’opportunità di vivere un’esperienza di crescita costante che si intreccia con le esperienze di crescita di chi decide di fidarsi di te e di affidarti i pensieri e le emozioni più profonde e significative della propria vita.

Questo lavoro prevede la responsabilità continua di dovere e sapere contestualizzare ciò che accade nella vita delle persone, comprendendo la tua di vita e tenendo presente ogni volta, in qualità di osservatore privilegiato, che stai facendo delle riflessioni e delle sintesi soggettive sulle diverse realtà-variabili che osservi ed il come le osservi cambierà decisamente come le andrai ad interpretare, definire ed affrontare nel percorso terapeutico.

Come le osservi è legato alle esperienze della tua vita, ai ruoli che ricopri o hai ricoperto nelle diverse situazioni lavorative e personali che hai vissuto, ai modelli teorici di riferimento che hai scelto e preferito nel tuo percorso formativo, professionale e naturalmente a tanto altro che appartiene alla tua identità di essere umano.

Per quanto mi riguarda l’ottica con la quale osservo la realtà è quella che ritiene che la società o sistema vivente sia costituita da un  insieme di elementi, parti e componenti che si influenzano reciprocamente, che ogni individuo può influenzare con il suo comportamento i comportamenti degli altri individui e da questi essere a sua volta influenzato. Che ad ogni individuo ed elemento del sistema, è richiesto un continuo adattamento per far fronte alle costanti richieste che l’ambiente e la vita pongono.

E soprattutto che ogni individuo costruisce una sua interpretazione di quello che osserva e a tal fine elabora una molteplicità di “mappe mentali” delle diverse realtà osservate.

Mappe mentali che sono costruite e catalogate in base a dei singolari, unici e soggettivi modi di percepire quello che accade, modi ‘personali’ che organizzano ed interpretano le informazioni attivando continui processi di cambiamento.

Questi processi di cambiamento hanno contribuito a costruire una identità interna dotata di coerenza e di significato per ogni individuo impegnato nel percorso di conoscenza del mondo e di sé stesso.

Ogni esistenza si caratterizza per una diversità e molteplicità di esperienze che rendono necessaria la continua rivisitazione nonché rilettura delle proprie mappe mentali di cui sopra.

Sappiamo quanto la vita possa essere mutevole e provocatoria chiamandoti a dei repentini cambi di rotta quando sembra che tutto vada quasi per il meglio, la navigazione è ben orientata e la brezza leggera accompagna le tue giornate che scorrono piacevoli e confortevoli.

Cambi di rotta che prescrivono dei cambiamenti che mai si sarebbero immaginati e/o voluti come ad esempio la perdita di un buon lavoro, la diagnosi di una malattia seria e/o invalidante, un divorzio, la morte di un proprio familiare, un incidente grave, seri problemi economici e tanto altro che non ha bisogno di essere citato.

Cambi di rotta che hanno richiesto e obbligato, pena la sopravvivenza stessa, alla costruzione e definizione di ‘nuovi’ modi di reagire, agire e rispondere alla realtà osservata. Cambi di rotta che hanno prescritto la necessità di utilizzare tutte le risorse di cui si dispone per fronteggiare la perdita, il dolore, lo straniamento di un cambiamento troppo grande e a tratti innaturale.

Quelle identità interne, quelle mappe di sé stessi e della realtà circostante a quel punto cambiano di consistenza e di significato e vengono spesso stravolte necessitando di una riorganizzazione non proprio immediata e non di semplice realizzazione.

Quella ‘coerenza interna’ spesso costruita con fatica ed impegno, che definisce la tua identità di lavoratore, di madre, di sorella, di amico, di compagna o di tanto altro quante possono essere le relazioni che la tua vita ti ha permesso ed offerto, non regge più e non è più sufficiente e adeguata a definirti e a rappresentarti nei confronti di te stesso e della società di cui fai parte.

Sei obbligato a cambiare, sei obbligato a tener conto che la tua realtà non è più la stessa, che le tue sicurezze alle quali ti riferivi per poterti muovere con relativa sicurezza nel mondo non valgono più e che devi costruire nuovi punti di riferimento, devi ristrutturare una identità ‘ferita’, devi riparare una identità affaticata, in poche e crude parole devi elaborare un lutto.

(lutto…stato psicologico conseguente alla perdita di un oggetto significativo che ha fatto parte integrante dell’esistenza. La perdita può essere di un oggetto esterno come la morte di una persona, la separazione geografica, l’abbandono di un luogo o interno, come il chiudersi di una prospettiva, la perdita della propria immagine sociale, un fallimento personale e simili)(U. Galimberti, 1999)

Elaborare un lutto significa impegnarsi in un processo di cambiamento che forse può essere considerato tra i più complessi nella vita di un essere umano. E’ un processo di cambiamento che obbliga a rimettere in discussione ogni certezza, coordinata e punto di appoggio che ti rendevano sicuro, forte e definito.

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In questa gamma di perdite mi sono chiesta, insieme ad altri pregevoli colleghi, se l’esperienza del Coronavirus potesse rappresentare una sorta di lutto sociale, un trauma collettivo che sta obbligando il mondo intero a rallentare il suo passo e a confrontarsi con imprescindibili quesiti che un impatto globale di questa natura sta comportando. A confrontarsi con la necessità di ricostruire mappe della realtà in grado di integrare gli eventi al tempo del Coronavirus.

Ognuno di noi ha avuto e sta percependo le ‘sue’ di perdite.

Ognuno di noi sta elaborando la sua visione e interpretazione della realtà al tempo del Coronavirus.

Quello che sta avvenendo è che qualcuno o ‘qualcosa’ di estraneo a te stesso ti sta dicendo che ora non puoi fare tutto quello che prima ritenevi di poter fare, anche se tu lo volessi,  ti sta dicendo che da adesso in poi la tua vita e quella dei tuoi cari, dei tuoi amici, dei tuoi vicini di casa insomma della tua società e del mondo a cui appartieni non sarà più lo stessa e che anche se non ne hai voglia non potrai non confrontarti con questo cambiamento epocale.

Ti sta dicendo che la salute deve essere un bene di tutti e per tutti, ti sta dicendo che il pianeta ha ripreso a respirare in modo decente perché è stato obbligato a rallentare la sua corsa che voracemente travolge beni preziosi per la vita di tutti.

Ti sta dicendo che la solidarietà e la cooperazione sono valori fondanti di una società civile ed etica e non dovrebbero essere valori ispiratori solo per le associazioni di volontariato; ti sta dicendo che lo sfruttamento di alcuni per il bene di pochi non porterà del buono a nessuno.

Ti sta dicendo che nessuno, anche il più ricco, può farcela da solo e che serve l’aiuto e l’intelligenza di tutti per affrontare perturbazioni di questa portata.

Ti sta dicendo che forse può rendersi necessario operare una radicale rilettura di quello che finora ha orientato i nostri comportamenti e le nostre scelte.

Da qui la consapevolezza, come professionista del benessere individuale e collettivo, che per ognuno di noi nulla sarà più come prima e che a tutti gli ‘elementi’ del sistema mondo, in relazione alle diverse responsabilità, identità e ruoli, è richiesta la ‘ presa in carico ’ di un cambiamento che riguarda in termini ecosistemici la vita dell’intero pianeta.

E non vuole essere un enunciato catastrofista ma un’affermazione contestualizzata e fortemente realistica per tutto quello che abbiamo condiviso finora.

Ad ognuno di noi sarà richiesto di attivare riletture delle realtà osservate, che consentano una valida integrazione tra il ‘prima senza coronavirus’ e il ‘dopo con il coronavirus’, considerando queste due ‘fasi’ come eventi temporali che non possono essere ancora definiti e storicizzati in modo preciso, certo, uniforme e rassicurante, ma che probabilmente assumono caratteristiche , percezioni diverse e soggettive per ogni individuo.

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Che assumono caratteristiche di cambiamenti concreti ad esempio sulla realtà lavorativa e sociale di tutti.

Non sarà possibile non riflettere sui propri modelli di vita e sulle proprie risorse personali ed economiche prima del Coronavirus tenendo presente che un dopo è ancora incerto.

Ed ecco che di nuovo ognuno potrà riallineare in relazione agli eventi accaduti e a quelli in divenire, le proprie mappe della realtà, impegnandosi in faticosi dal punto di vista emotivo, cognitivo e comportamentale, percorsi di consapevolezza.

Potrà ripercorrere i tracciati che l’hanno condotto a scegliere alcuni valori e non altri.

Potrà rimettere a fuoco la qualità delle relazioni nella sua vita e quanto di ancora irrisolto, può rappresentare un freno allo sviluppo delle sue potenzialità e dei suoi più profondi desideri.

Potrà integrare ciò che stava osservando in un processo terapeutico con ciò che sta accadendo nel qui ed ora, senza poter omettere eventuali fatiche attuali dovute al Coronavirus.

Operare una buona adesione al contesto prevede la possibilità di riflettere, ognuno con le proprie risorse, su come sarà possibile organizzare la propria quotidianità dopo aver toccato con mano categorie come incertezza, ambiguità e volatilità che sono proprie della complessità e che sembravano molto teoriche e lontane.

Prevede l’accettazione di ciò che non mi è permesso cambiare perché non è nella mia area di intervento e la messa a fuoco di tutto quello che posso cambiare perché direttamente riferibile al mio poter fare e al mio saper essere.

Non credo come sostengono in molti, che in tanti vorranno dimenticare e rimuovere  ciò che sta accadendo e non cambieranno di una virgola la loro vita e comunque se anche fosse così vorrà dire che in tanti avranno dovuto ‘falsificare’ la realtà osservata costruendosi a costi emotivi molto consistenti, una visione accettabile e tollerabile.

A cosa si può attingere per trovare energia e speranza?

Al poter pensare che una tragedia collettiva come questa può mettere a nudo individualità positive e sostenute da valori etici, rispettosi del bene comune e della collettività.

Che questa esperienza ci ha mostrato quanti di noi si sono prodigati senza chiedere nulla in cambio, solo perché hanno ritenuto coerente poterlo e doverlo fare.

Che è necessario mantenere un certo grado di lucidità ed indipendenza mentale che consenta di non generalizzare cadendo in semplificazioni facili e poco funzionali alla comprensione degli eventi.

E che ora più che mai sembra plausibile pensare che “l’esperienza non è ciò che accade alle persone ma è ciò che fanno le persone con ciò che le accade“( A. Huxley).

Il pensiero sistemico nella formazione

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Oggi ho pensato di condividere qualcosa che raccontasse il mio lavoro come formatrice scegliendo un contributo che racconta la mia ricerca, costante e determinata, di utilizzare, in modo contestuale e coerente, il pensiero sistemico orientato al governo della complessità organizzativa.

Nel contesto aula il  “conoscere ed il sapere non possono essere il risultato di un conoscere passivo, ma nascono come risultato delle azioni di un soggetto attivo” .

(P. Watzalawick).

Secondo chi scrive ogni storia personale e lavorativa è complessa perché ognuno la costruisce secondo la propria esperienza. La costruisce dovendo compiere  continuamente una integrazione tra realtà soggettiva e realtà organizzativa.

La premessa teorica dei miei progetti di formazione (nonché di consulenza e coaching)  si definisce da un approccio sistemico-relazionale , che ha osservato ed interpretato la realtà relativa al ruolo professionale, utilizzando  la pragmatica della comunicazione all’interno della teoria della complessità. All’approccio sistemico ho, in progress,  integrato una lettura costruttivista che presuppone che ogni osservatore modifica la realtà che osserva. Osservatore che osservando se stesso va a costruire mappe della propria realtà , rappresentandosi nel ‘qui ed ora’ , e che per farlo  utilizza la sua esperienza. Una narrazione costruita e rappresentata quindi in base a personali modelli di riferimento emotivi e cognitivi. Una STORIA che racconta la vita di chi la rappresenta.

Ogni volta che mi sono trovata  a lavorare con un gruppo-sottosistema in formazione In qualità di formatrice, ho scelto di accogliere e rispettare tutte le storie di coloro che hanno  partecipato .

Durante ogni processo di  formazione  ho cercato  di  trasferire  contenuti teorici utili e coerenti che potessero divenire un concreto valore aggiunto,  considerando l’esperienza formativa un INCONTRO PRIVILEGIATO tra formatrice e destinatari del progetto formativo, nel quale chi, come me,  ha la responsabilità di condurre il gruppo in formazione assume su si sé la consapevolezza di osservarsi mentre osserva gli altri e comprende come i suoi modelli di intervento possono influenzare e modificare il processo formativo e la qualità delle relazioni .

Consapevolezza che prevede la capacità di cogliere la fase del ciclo vitale (e culturale) sia del partecipante sia del contesto organizzativo.

In questo senso  la ricerca di una continua contestualizzazione, strutturata sui diversi livelli di realtà osservata (individuo, gruppo, unità organizzativa, ruolo, contesto organizzativo) ha permesso di rendere tangibili e funzionali all’attività lavorativa dei partecipanti, quei concetti che altrimenti sarebbero risultati  lontani, aleatori, poco fruibili e gestibili nella loro quotidianità.

La mission nel mio ruolo di formatrice  è stata quella di attivarmi per  promuovere una INTERAZIONE che potesse divenire veramente ISTRUTTIVA, nella  quale il partecipante ha potuto scegliere e selezionare quei contenuti e dati che ha  trovato  sintonici  con la propria realtà e coerenza  interna. Offrendo a se stesso la possibilità di rivedere, generare comportamenti virtuosi che fossero utili alla gestione del momento ‘storico’ individuale ed organizzativo.

Sappiamo che il processo di apprendimento si traduce in un processo di cambiamento attraverso l’interazione istruttiva che permette  un riassetto dei ‘modelli di conoscenza’ della realtà nella misura in cui le perturbazioni (contenuti, esperienze) proposte dal formatore,  vissute e praticate in aula , diventano leve per ridefinizioni e riorganizzazioni cognitive, emotive e comportamentali.

Nel concreto  la metodologia didattica ha compreso e utilizzato  i due livelli che contribuiscono a definire un processo comunicativo: il contenuto e la relazione inserendo l’osservazione nel contesto di riferimento.

Con attenzione ai contenuti si è favorito una ricerca  di:

  • CHIAREZZA
  • DECODIFICABILITA’
  • CONGRUITA’
  • COERENZA
  • ARTICOLAZIONE
  • CONTESTUALIZZAZIONE

degli stessi.

Osservando la relazione si è data attenzione alla:

  • ANALISI ricerca ed elaborazione dei costrutti-storie raccontate in aula dal gruppo
  • DEFINIZIONE dei bisogni individuali e dei bisogni organizzativi
  • LETTURA delle ipotesi cognitive scelte dai partecipanti per rappresentare la propria realtà operativa e relativa condotta di ruolo
  • COMPRENSIONE e costruzione della “realtà” individuale, in termini di bisogni, motivazioni, aspettative, attitudini, competenze, emozioni, difficoltà per ogni soggetto impegnato nel percorso di apprendimento
  • RIDEFINIZIONE della comunicazione afferente il formatore in termini di confronto/crescita/arricchimento reciproco.

La mia operatività, in qualità di formatrice,  può essere definita come una proposta didattica che tende a trasferire “modelli di osservazione della realtà” nonché modelli di conoscenza di se stessi e del contesto nel quale mi muovo ed agisco il ruolo professionale.

Tale operatività  viene progettata, espressa e comunicata attraverso un  ruolo/funzione formativo che ha l’ambizione di  proporsi come uno SPECCHIO cognitivo, emotivo e comportamentale che possa rimandare “buone ed utili ” immagini all’altro.

Immagini e rappresentazioni che mirano ad una offerta di contenuti/significati proposti sempre in un’ottica di grande rispetto e valorizzazione reciproca, indispensabile nella formazione di adulti. La metodologia formativa si avvale di una didattica molto orientata alla definizione di situazioni d’aula come “spazi-esperienziali”.

Per spazio esperienziale si intende  un momento nel quale al soggetto viene data la possibilità di esprimere e confrontare nel gruppo le sue interpretazioni. Interpretazioni e vissuti relativi sia al mondo esterno sia al proprio mondo interno.

Il confrontarsi nel gruppo, attraverso esercitazioni mirate, dà modo di rappresentare le azioni che si ritrovano nella prassi lavorativa, di riflettere insieme al gruppo sui risultati di una auto-valutazione, di creare mappe concettuali che possono riassumere e simbolizzare gli atteggiamenti e/o le competenze , di ascoltare attivamente un racconto metaforico. Tutto questo permette una profonda SPERIMENTAZIONE e una VERIFICA ESPERIENZIALE degli assunti teorici proposti. Il poter rappresentare ruoli e funzioni in una esercitazione guidata ( un come se fosse vero) permette una messa alla prova in un contesto protetto, nel quale l’errore, se mai ci fosse, è semplicemente un ulteriore modo di rappresentare la realtà e consente un’opportunità di miglioramento.

Ciò sollecita una “percezione” di se stessi e un processo di auto osservazione, vissuta e guidata in tempo reale, favorevole allo scambio costruttivo nel gruppo, gruppo che insieme al soggetto, lavora per il consolidamento del processo di crescita e di apprendimento di tutti e di ciascuno.

E’ nel gruppo, infatti, che l’identità organizzativa si ridefinisce e si confronta. In questo spazio-tempo, per definizione protetto e quasi alieno dalla quotidianità operativa ciascuno porta il proprio modo di rappresentare il lavoro, l’organizzazione alla quale appartiene e il proprio sé osservato nel contesto organizzativo.

Potersi confrontare con le altre esperienze e mappe della realtà organizzativa fa accedere il gruppo ad una concreta CONDIVISIONE ed INTEGRAZIONE di visione, valori, linguaggi ed emozioni messi a disposizione dall’individuo per il gruppo e dal gruppo per l’individuo.

 

Questa complessità di dati diviene preziosa per la comprensione dei processi lavorativi e delle teorie che li interpretano.

Responsabilità del formatore è quella di trovare COERENZA nella informazione osservata  “dentro” il contesto aula, riflettendo il “fuori” contesto aula che tanto interviene nella vita di ogni gruppo.

COERENZA che non vuole intendersi come OMOLOGAZIONE di significati e linguaggi, ma come VALORIZZAZIONE delle DIFFERENZE .

 

La comunicazione assertiva : una breve definizione.

La comunicazione assertiva può essere interpretata come un progetto costante di crescita personale che attribuisce all’individuo la responsabilità (intesa come capacità di dare e scegliere delle risposte) di porre attenzione alla qualità delle relazioni che ‘ogni’ stile comunicativo definisce.

Assumersi la responsabilità dei propri comportamenti, nel processo comunicativo,  può voler dire semplicemente di essere capaci ad osservare ed ascoltare se stessi, ad imparare a conoscere , in modo scelto e consapevole, come ci rappresentiamo, quali emozioni caratterizzano le nostre azioni nei diversi contesti che pratichiamo, quale dialogo interiore ci orienta nei comportamenti , quali valori declinano le nostre vite .

E’ attraverso tali processi di ricerca che si può accedere alla comprensione dei diversi modelli di rappresentazione della realtà (individuale e non)  che compongono la nostra vision.

Per concludere ho scelto questa citazione di Tiziano Terzani :

‘Il rispetto nasce dalla conoscenza, e la conoscenza richiede impegno, investimento, sforzo.
( https://travelmooditaly.wordpress.com/?s=terzani)

 

 

 

Di che virtù sei?

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Virtù , secondo la Treccani,  da virtus-ūtis «forza, coraggio».

‘Da parte dell’uomo esiste una inclinazione naturale ad evitare il male e fare il bene’, a prescindere dal possibile premio o punizione che le azioni fatte possano ricevere.

Ma quali sono le virtù che possono essere considerate risorse preziose per la nostra vita?

  • Saggezza
  • Coraggio
  • Umanità
  • Giustizia
  • Temperanza
  • Trascendenza

Nella psicologia positiva, come nel coaching umanistico, le virtù rappresentano una sorta di insostituibile contenitore al quale attingere per scoprire quali potenzialità possono diventare potenti mezzi miglioramento personale.

Nella mia pratica professionale, da psicoterapeuta e/o da coach, ho scelto di riservare sempre uno spazio specifico per approfondire la conoscenza delle virtù, che ispirano la vita ed i comportamenti della persona che sta chiedendo un mio intervento.

Ritengo che abituare una persona ad osservarsi come  ‘portatore sano’ di virtù universali e non come agente di azioni fallaci e sbagliate rappresenti una bella sfida.

Passaggio successivo, oppure contemporaneo a questo, è la scoperta e la condivisione delle molteplici modalità con le quali le virtù possono rivelarsi nella vita di quella persona, e le potenzialità attraverso le quali sono state espresse.

Quali potenzialità mi caratterizzano?A quali potenzialità mi riferisco nel fare delle scelte?Quali potenzialità si traducono in punti di forza nei miei comportamenti?Quali potenzialità mi rendono contento?Quali potenzialità generano forza e coerenza nelle mie relazioni?

Saper osservare i vari comportamenti come espressione delle potenzialità significa renderli più  comprensibili e più dotati di senso.

Sembriamo abituati a concentrarci su quello che non funziona, su quello che non va, su quello che non ci piace, su quello che non ci gratifica, su quello che ci crea insofferenza e facciamo fatica ad utilizzare una visione speciale che faccia emergere tutto il buono che c’è nelle nostre vite e in ognuno di noi.

Quando riusciamo a ribaltare completamente l’ottica,offrendo allo sguardo dell’osservatore delle coordinate per scoprire quali  potenzialità ci caratterizzano,quali potenzialità colorano le nostre azioni, le nostre scelte, le nostre piccole o grandi felicità stiamo operando una sorta di rivoluzione creativa nel nostro modo di guardare la vita.

La potenzialità rappresenta un elemento fondante della gratificazione personale e della possibilità di sperimentare emozioni positive.

Realizzare e praticare esperienze in ordine con le proprie potenzialità permette di sentirsi bene con se stessi, di percepire uno stato soggettivo di armonia , sia a livello individuale che relazionale.

Dare vita alle proprie potenzialità può essere inteso come una leva motivazionale e come una libera espressione di risorse interne.

Esempi di potenzialità sono : gratitudine, speranza, creatività, apertura mentale, integrità, amore, umorismo, spiritualità , umiltà, generosità,leadership,onestà, autoregolazione, persistenza, audacia, vitalità, gentilezza, intelligenza sociale…